Tempo alla pari per papà e mamme
Sappiamo che avere un papà presente da subito e coinvolto in maniera attiva aumenta il benessere di bambini e bambine, ma anche quello dei padri stessi, delle madri e della coppia. Sappiamo poi che l’incremento della produzione di ossitocina nel padre che accudisce il figlio o la figlia riduce la sua aggressività e ha un effetto di contrasto alla violenza di genere. Sappiamo, anche, che un supporto operativo concreto in quelle che si chiamano attività di cura riduce l’abbandono del posto di lavoro delle mamme, favorendo l’equità di genere e in ultima istanza anche la natalità.
Sono consapevolezze fornite da studi recenti, che hanno cominciato a indagare le condizioni e gli effetti di quella grande trasformazione dei ruoli e dei progetti genitoriali che impatta sul mondo del lavoro, ma anche sull’organizzazione sociale e familiare, di quei Paesi che hanno fatto della parità di genere (meglio sarebbe poter dire la parità tra i generi) un valore e un obiettivo. Condizione essenziale per favorire questo percorso è che anche ai papà vengano riconosciuti quei congedi che possono dare loro il tempo per stare con i propri figli e figlie, partecipando alla pari con le proprie compagne alla cura e alla crescita delle creature che hanno contribuito a mettere al mondo.
Diciamo subito che il nostro Paese, che riconosce ai padri solo 10 giorni di congedo retribuito in maniera decente, ha ancora molta strada da fare. Per questo il progetto europeo 4e-parent (Zadig è partner del consorzio) ha messo a punto un pacchetto di misure, che idealmente potrebbero essere introdotte già nella finanziaria 2025, e le ha presentate nel corso del convegno Il tempo dei papà, che si è svolto a Roma lo scorso 26 settembre.
Punto di partenza delle proposte di modifica, il paradosso italiano, che vede il congedo di maternità più generoso d’Europa, un indicatore di welfare superiore a quello previsto dalla normativa europea, combinato con un congedo di paternità tra i peggiori della UE (solo 10 giorni retribuiti al 100%). Congedo di paternità in teoria obbligatorio, ma con grandi differenze regionali di utilizzo: quasi il 90% da parte dei padri nel Nord-est a fronte del 15-20% delle regioni del Sud. Con la necessità, quindi, di riequilibrare non solo il tempo distribuito tra mamme e papà, ma anche le diseguaglianze per area geografica o condizione di lavoro, per esempio il grande numero di padri precari o comunque liberi professionisti che non hanno diritto al congedo.
A sostegno di una piattaforma di misure molto ben calibrate e calate nella realtà lavorativa italiana il progetto 4e-parent ha offerto anche i risultati di indagini realizzate nel corso della sua attività, come quella svolta presso un gruppo di aziende o le opinioni e le aspettative dei neogenitori raccolte attraverso un questionario online che ha visto la partecipazione di 4.500 padri e madri. Con risultati davvero interessanti. Per esempio: circa un padre su tre non ha comunque usufruito del congedo previsto e tra questi il 6,6% perché non sapeva di averne diritto.
In effetti, a spiegare una certa confusione c’è anche la fumosità tutta italiana delle norme. Per esempio, accanto ai congedi di maternità e di paternità sono previsti quelli che oggi si chiamano congedi parentali, una definizione frutto della maldestra traduzione della parola parent (genitore, in inglese e in francese) e che consentono di aggiungere giorni a quelli già previsti. Però, vuoi perché la definizione può far pensare che possano usufruirne anche altre figure della famiglia (nonni, zii), vuoi perché si tratta comunque di tempo assai mal pagato, nei fatti finora sono soprattutto le mamme ad approfittarne.
Ecco perché le proposte del progetto riguardano sia la modifica della definizione: da parentali a genitoriali, per mettere le cose in chiaro, sia e soprattutto un aumento del compenso riconosciuto.
Sappiamo, infatti, che molti padri sarebbero disposti a prendere congedi più lunghi, se fossero pagati meglio e se non avessero paura di compromettersi la carriera. Ma sappiamo anche che un numero crescente di aziende sta adottando o sarebbe comunque disposta ad adottare politiche paritarie verso i genitori, perché il ruolo di mamma e papà possa essere effettivamente condiviso. Del resto non mancano gli studi che dimostrano che politiche aziendali di questo tipo, se contribuiscono senz’altro a condividere tra le diverse istanze della società i progetti genitoriali, aumentano anche la produttività.
La piattaforma del progetto 4e-parent, che ha anche il merito di non discutere diritti esistenti, mette al primo punto la proposta di estendere il congedo di paternità obbligatorio dagli attuali 10 a 22 giorni lavorativi, di cui almeno 10 da fruire consecutivamente nel primo mese dalla nascita (per fare un confronto: la Spagna prevede 16 settimane, di cui 6 obbligatorie). E già che ci siamo, garantire ai padri i permessi per accompagnare le partner in gravidanza alle necessarie visite mediche, così come anticipare da parte dello Stato i compensi per i congedi, per venire incontro alle esigenze della piccola e media impresa.
Più sfidante, ma cruciale se si vuole intercettare una fetta importante di genitori del mondo di oggi: estendere la platea degli aventi diritto al congedo di paternità ai padri freelance, iscritti alla gestione separata, calcolando il compenso sulle ultime due dichiarazioni dei redditi precedenti all’anno di inizio della gravidanza.
Il progetto ha calcolato un costo complessivo di un miliardo e mezzo di euro per attuare il complesso delle modifiche proposte. Tanti, certo, per un Paese in forte disavanzo. Ma pochi, se si calcola l’ampio ritorno in termini di benessere delle nuove generazioni e delle famiglie, di giustizia sociale, di riduzione della violenza di genere e di benefici per l’economia nazionale. Comunque, per attuare la proposta di estendere il congedo di paternità a 22 giorni, includendo anche i padri free lance, basterebbero solo 200 milioni.
Soprattutto, dare corso a tutte, o anche solo parte, di queste proposte sarebbe una rivoluzione culturale: rendere davvero paritario il lavoro delle donne e quello degli uomini rispetto al loro ruolo di genitori, così da non alimentare più quelle discriminazioni che finiscono con lasciare a casa la donna in misura preponderante.
Non è detto che piaccia a chi è ancorato all’idea di una famiglia vecchia maniera, ma è comunque quello che sta succedendo nel mondo.
In Italia con più fatica del necessario.