Chiudiamo l’anno nel ricordo di Alessandro Liberati
Anche il 2024 è volato via veloce, come sempre volano veloci gli anni, ma non vogliamo chiuderlo senza ricordare il nostro amico e collega Alessandro Liberati, medico e docente di epidemiologia, che ha impresso un segno importante nella cultura medica del nostro Paese e ha condiviso con Zadig molte iniziative culturali e scientifiche che hanno profondamente contribuito a improntare il nostro metodo. Se non ci avesse lasciato troppo presto nel 2012, quest’anno Alessandro avrebbe compiuto 70 anni. E ci manca.
Da che cosa iniziare? Per noi di Zadig, in particolare per chi ha lavorato più vicino a lui, il ricordo di Alessandro Liberati è quello di una persona stimolante, attiva, di intelligenza acuta, con un forte senso critico e una carica di energia che lo spingeva a innovare, a lavorare intensamente, ad avere la capacità di prevedere come si sarebbero mosse le cose in futuro e progettare sempre nuove iniziative… da quelle scientifiche fino alla famosa caccia al tesoro annuale, il Liber Trophy, che radunava colleghi e amici sguinzagliati a caccia degli indizi da lui disseminati per le strade di Forte dei Marmi, dove aveva una casa che per il suo compleanno si apriva a decine di ospiti.
Sono molti i temi, fondamentali per lo stile, il metodo e la filosofia di fondo di Zadig, che affondano le loro radici nella collaborazione, iniziata prestissimo, con Alessandro Liberati.
L’impegno per una medicina basata sulle prove scientifiche
Sicuramente è importante in primo luogo ricordare che è stato Alessandro Liberati, medico, attivo da subito nel campo della ricerca, che ha portato in Italia l’evidence based medicine, la medicina basata sulle prove scientifiche: nel ‘94 ha fondato il centro Cochrane italiano, di cui è stato il direttore. È stato il primo in sostanza in Italia a occuparsi sistematicamente di questo tema, ovvero della necessità di basare le scelte dei medici su quanto emerge da studi clinici di buona qualità, e non sull’autorità del singolo esperto, sull’abitudine del medico, sulla tradizione, o peggio ancora sulla propaganda dell’industria farmaceutica.
Un altro tema molto caro a Zadig di cui Alessandro Liberati si è occupato tra i primi in Italia è stato quello del conflitto di interessi: nel 2002 con Marco Bobbio e Zadig, fondò il CIRB, il Coordinamento per l’integrità della ricerca biomedica, gruppo che si occupava per la prima volta in Italia di conflitti di interesse in ambito medico e della ricerca, con una serie di iniziative per diffondere e seminare i principi della trasparenza, denunciando l’importanza dei conflitti di interesse e di quanto questi interferissero con l’agire dei medici. Erano temi allora molto poco considerati e la temperie politica (primo governo Berlusconi) di certo non aiutava.
Si deve ad Alessandro Liberati anche la promozione in Italia delle Consensus Conference, negli anni 80, a partire da quella di Bari sul follow up dopo il tumore alla mammella, alla cui organizzazione collaborò fin da allora Roberto Satolli, che avrebbe fondato Zadig. Anche in questo caso, l’intento era stimolare a basare il più possibile le scelte cliniche su dati scientifici, in particolare su temi controversi e quando non ci sono dati sufficienti a realizzare revisioni sistematiche. In una Consensus Conference si creano una serie di quesiti e si punta ad arrivare, attraverso una discussione in cui sono rappresentati esperti nei diversi rami e in generale tutti gli aventi causa, a una risposta condivisa. Anche in questo caso Zadig ha assorbito nel proprio metodo questa che allora era una novità in Italia, seguendo e organizzando a sua volta negli anni seguenti diverse Consensus Conference, tra cui una sulla terapia ormonale sostitutiva in menopausa.
La collaborazione tra Alessandro Liberati e Zadig, in effetti, è iniziata ancora prima che l’agenzia prendesse vita autonoma, attraverso la collaborazione a Tempo Medico, giornale cui Liberati collaborò scrivendo diversi editoriali.
Il primo lavoro importante fatto con lui, nel 1997, è stato l’edizione italiana di Effective Health Care, rivista edita da Zadig di cui Liberati era responsabile scientifico: è stata la prima rivista al mondo a uscire – per quanto possa parere strano – con la data di scadenza. Per far passare il concetto che le informazioni prodotte dagli studi invecchiano e che è necessario aggiornarsi continuamente, infatti, era stata applicata alla rivista una stampigliatura che recitava “da leggere preferibilmente entro il…”, ricalcata su quella che si mette sugli alimenti. La durata massima era stata definita in due anni. Questa idea fece anche un certo scalpore, tanto che ci fu un lancio Ansa sulla “rivista con data di scadenza”. Diverse amministrazioni pubbliche – Asl e altre – sottoscrissero abbonamenti alla rivista per i propri dipendenti. Perché un medico che pratica una sanità efficace, basandosi su dati affidabili, giova non solo ai propri pazienti, ma anche all’amministrazione pubblica.
Un lavoro molto importante per la disseminazione dell’evidence based medicine in Italia, ideato insieme ad Alessandro, è stato qualche anno dopo, nel 2000, la traduzione in italiano degli abstract della Cochrane collaboration internazionale: per la prima volta si mettevano a disposizione del pubblico degli operatori sanitari i risultati delle revisioni sistematiche sull’efficacia dei farmaci.
Su questa stessa linea si innesta nel 2001 la traduzione italiana – realizzata in collaborazione da Zadig e dal Centro Cochrane italiano – di Clinical evidence, considerata la bibbia della evidence based medicine, che riunisce in un unico volume le prove scientifiche su farmaci e altri interventi in numerose condizioni mediche e chirurgiche. Fu un grande lavoro, sostenuto dall’AIFA, distribuito gratuitamente ai medici italiani e di cui ci furono varie edizioni con aggiornamenti continui dalla letteratura scientifica. Ci resta ancora in redazione una foto di Alessandro intento a correggere le bozze del cospicuo volume (oltre 900 pagine) in pieno agosto, sotto l’ombrellone, al mare.
I primi corsi FAD di Zadig nati da Clinical evidence
Da Clinical evidence, e dalla sua grande massa di informazioni EBM, è nata l’idea di ampliarne la fruizione proponendo per la prima volta in Italia corsi di formazione a distanza che raggiungessero grandi numeri di destinatari. Oggi la formazione a distanza (FAD), in particolare dopo la pandemia, si è sviluppata enormemente ed è entrata nella consuetudine: pochi ricordano forse che la prima idea di organizzare corsi di formazione a distanza per i medici nasce proprio da Zadig, con la rivista Tempo Medico, che sul finire degli anni ‘90 del secolo scorso propose ai propri lettori corsi FAD online quando ancora non solo non se ne parlava ma non c’era alcuna norma che la contemplasse come strumento possibile ed efficace di formazione.
Su un’idea di Zadig e organizzati insieme ad Alessandro Liberati nacquero i corsi di FAD centrati sul caso clinico, partendo dai contenuti di Clinical Evidence: è nato così nel 2005 il progetto ECCE – Educazione Continua Centrata sulle Evidenze – messo gratuitamente a disposizione degli operatori sanitari italiani, grazie ai fondi stanziati da AIFA e che fu il primo corso FAD di grandi dimensioni a erogare crediti formativi. Il successo fu tale che nell’arco di tre anni parteciparono oltre 150.000 operatori sanitari, che lo resero a quei tempi una delle più grandi esperienze al mondo di formazione a distanza.
Per una ricerca incentrata sull’interesse dei malati
Un altro tema molto caro ad Alessandro è stato quello di riorientare la ricerca in modo da renderla più aderente all’interesse dei cittadini e pazienti, e meno agli interessi dei ricercatori e delle case farmaceutiche. E che i cittadini siano coinvolti il più possibile nella ricerca e nelle scelte cliniche.
Sul coinvolgimento dei cittadini Zadig ha partecipato con Liberati al progetto PartecipaSalute, creato in collaborazione con il Centro Cochrane italiano e l’Istituto Mario Negri, nato per incentivare la partecipazione dei pazienti e cittadini, e delle loro associazioni, alle scelte in medicina.
Lo stesso scopo ebbe un altro progetto, la creazione delle Giurie dei cittadini, un’idea che proprio Zadig aveva proposto ad Alessandro e che fu da lui accolta con grande interesse, nata per dare voce ai cittadini sulle scelte della sanità pubblica, come per esempio se proporre alla popolazione un certo screening. L’organizzazione delle Giurie dei cittadini prevedeva che gruppi di cittadini laici, non esperti sulla materia, accettassero di dedicare del tempo a essere informati in modo approfondito sull’argomento per poi discutere e infine votare sulla scelta in questione. Le Giurie dei cittadini affrontarono temi importanti, per esempio l’opportunità di organizzare screening per una malattia come la fibrosi cistica, e si tennero in diverse città da Nord a Sud in Italia.
Un tema che fu oggetto di particolare interesse da parte di Alessandro Liberati negli ultimi anni della sua vita, letteralmente fino alla sua morte, fu quello della necessità di riallineare gli interessi della ricerca clinica a quelli dei cittadini e malati, rivedendo i metodi di sperimentazione dei farmaci e pubblicazione dei dati relativi alle sperimentazioni. Non solo denunciava il fatto che gli studi non mettessero mai a confronto i farmaci tra di loro – ma solo contro placebo – il che rende difficile stabilire la differenza di efficacia tra un farmaco e l’altro e porta all’immissione sul mercato di nuovi, costosi farmaci che non presentano vantaggi. Sosteneva anche che nella sperimentazione spesso non si verificano endpoint utili per i malati, ma ritagliati sugli interessi delle case farmaceutiche. Criticava anche la mancanza di trasparenza, il fatto che i dati degli studi non siano pubblicati in modo completo: né quelli che avevano portato a risultati negativi (e questo crea il noto bias di pubblicazione, dovuto al fatto che sono pubblicati solo i risultati positivi) né i dati completi alla base dello studio, che consentirebbero ad altri ricercatori di capire meglio e approfondire ulteriormente le questioni.
Questo argomento diventò ancora più cruciale per Alessandro quando si ammalò di mieloma multiplo, la malattia che nel giro di dieci anni lo portò prematuramente alla morte, avvenuta nel gennaio del 2012.
Solo poche settimane prima era stata pubblicata sul Lancet una sua lettera in cui denunciava come le modalità di sperimentazione dei farmaci, che lo avevano già danneggiato come ricercatore, ora lo danneggiassero concretamente come malato. Parlava di una “incertezza evitabile”: una incertezza sulle cure possibili, che potrebbe essere evitata modificando i protocolli di ricerca e pubblicazione.
Affermava tra l’altro: Ho avuto l’opportunità di prendere in considerazione, da più punti di vista, il divario esistente tra quello che i ricercatori studiano e quello di cui i pazienti hanno davvero bisogno. Io sono un ricercatore, ho la responsabilità di assegnare fondi per la ricerca, e ho avuto un mieloma multiplo negli ultimi dieci anni. Pochi anni fa ho dichiarato pubblicamente che le incertezze incontrate all’inizio della mia patologia si potevano evitare. […] le aziende farmaceutiche evitano la ricerca che potrebbe mostrare che i farmaci nuovi e più costosi non sono migliori rispetto a quelli di confronto già presenti sul mercato. Se vogliamo che informazioni più pertinenti diventino disponibili, è necessaria una nuova governance della strategia di ricerca (traduzione di Anna Roberto e Paola Mosconi, Istituto Mario Negri).
Lo ricordiamo ancora una volta con queste parole: l’appello di un uomo che stava mettendo a disposizione di tutta la comunità scientifica la sua esperienza non solo di ricercatore, ma anche di malato.
Negli anni, abbiamo sempre lavorato in sintonia con il metodo comune che avevamo come guida. Continuiamo. In tempi di crisi del Servizio sanitario nazionale e di salute predata dal mercato, è sempre più necessario.