8 marzo: a che punto è la medicina di genere?

La ricorrenza dell’8 marzo ci dà l’occasione di tornare su un argomento importante: la medicina di genere. Emilie Sartorelli, in un articolo pubblicato recentemente su Scienza in rete, riflette sulla minaccia rappresentata dalle politiche sanitarie dell’amministrazione Trump, che rischiano di portare indietro le lancette dell’orologio di trent’anni, cancellando tre decenni di sforzi scientifici e medici per studiare e comprendere come le differenze di sesso e genere influenzino i determinanti di salute.

7 Mar. 2025

di Redazione
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Ricordando come il saggio The Yentl syndrome (1991) della cardiologa Bernardine Healy abbia definitivamente sconquassato l’impianto androcentrico della medicina occidentale, dimostrando che le donne ricevevano sistematicamente cure peggiori rispetto agli uomini, Emilie Sartorelli sottolinea su Scienza in rete come gli ultimi tre decenni abbiano visto affermarsi l’urgenza di studiare e comprendere come le differenze di sesso e genere influenzino i determinanti medici e non medici della salute.
La medicina di genere ha così vissuto una rapida evoluzione, emancipandosi dall’ambito della salute femminile relegata ai soli aspetti riproduttivi, per divenire un approccio correttivo e trasversale alla ricerca, la sperimentazione, la prevenzione, la diagnosi e il trattamento medico-clinico.
Contestualmente, il principio dell’equità di salute si è espanso vertiginosamente lungo la direttiva del riconoscimento delle specificità, arrivando a reclamare una medicina “a misura di ogni persona”.

Sartorelli ricorda come la necessità di valorizzare le specificità di sesso e genere nel complesso degli studi e della pratica medica abbia reso la questione della raccolta, comparabilità ed elaborazione di dati disaggregati più impellente di quanto già non fosse. Così, negli ultimi dieci anni la promozione di nuovi standard per la produzione e la trasmissione di conoscenze riguardo a sesso e genere ha caratterizzato una parte considerevole degli sforzi per innovare programmi sanitari e linee guida, sia a livello nazionale che internazionale.
Per quanto passate sotto i radar del vasto pubblico, uno degli esempi più recenti ed emblematici è stata la diffusione e l’adozione – anche da parte dell’OMS all’inizio del 2024 – delle raccomandazioni GATHER (Guidelines for Accurate and Transparent Health Estimates Reporting) e SAGER (Sex And Gender Equity in Research). Queste ultime, nate nell’alveo dell’editoria scientifica europea nel 2016, si propongono oggi come procedura di riferimento per la progettazione, l’attuazione e la comunicazione della ricerca, al fine di riportare informazioni su sesso e genere in modo completo: dal disegno di uno studio, all’analisi dei dati, ai risultati e alla loro interpretazione.
Insieme a questi sforzi di carattere trasversale, sull’impulso di rinnovamento della medicina di genere si è assistito poi al moltiplicarsi (o potenziarsi), a tutti i livelli, di gruppi di ricerca e politiche sanitarie mirate.

Certo, l’accoglienza di questo cambio di paradigma è stata tutto sommato rapida fino alla scala delle istituzioni internazionali, ma la sua messa in opera nella quotidianità della prassi medica e della ricerca procede a un ritmo nettamente più lento.
Tuttavia, si può notare che il cosiddetto “attacco alla scienza” della nuova amministrazione Trump si abbatte su un contesto di trasformazione in atto su vasta scala. I colpi appena inferti dal governo USA alla comunità scientifica sono sì ad ampio raggio, ma non sono totalmente “indiscriminati”. Colpiscono sì in generale la cooperazione in ambito di salute, l’indipendenza accademica, la circolazione delle informazioni e la validità epistemologica nella produzione della ricerca. Ma nel farlo, ripropongono anche una visione complessivamente coerente e affatto nuova: una visione che – oltre ad attaccare noti spauracchi come la transizione ecologica o i vaccini – sembra voler riportare le lancette della medicina di genere a ben prima degli anni ‘90 di Bernardine Healy. Di fatto, l’inquisizione trumpiana cerca di stringe nella morsa tutti «gli sforzi relativi alla lotta contro le disuguaglianze nella salute». In sostanza, una linea d’azione reazionaria, diametralmente opposta a quella rivoluzione d’equità nella salute di cui la medicina di genere, tra tante difficoltà, è stata una delle principali promotrici da trent’anni a questa parte. Dato il peso specifico degli USA nel panorama globale, inevitabilmente questa minaccia oscurantista non riguarda solo la scienza e la ricerca d’oltremare.

Come conclude Sartorelli, in un momento in cui comprensibilmente prevalgono ancora l’incertezza e lo sconforto, può valer la pena tenere a mente che questa minaccia può essere più che una sfida: può divenire un’opportunità, sia in termini di investimenti che di sviluppo. La capacità di riconoscere e confrontarsi con la complessità, quella stessa complessità che appesantisce e rallenta il processo trasformativo in atto della medicina, è il fulcro dell’innovazione portata dalla medicina di genere. Una capacità che si traduce in maggiore qualità nella ricerca e nella risposta sanitaria.

Leggi l’articolo completo su Scienza in rete.